La lingua lombarda è parlata in quasi tutta la regione Lombardia, nelle province piemontesi di Novara e Verbano-Cusio-Ossola, nell'area occidentale del Trentino, nella quasi totalità del Canton Ticino e nel Grigioni italiano: vi sono anche delle comunità migranti in Brasile e Argentina.
Tradizionalmente il lombardo è diviso in due macro-varietà: lombardo occidentale (milanese, pavese, comasco, ticinese, lodigiano...) e orientale (bresciano, bergamasco, cremasco...), tale divisione, per quanto imperfetta specie nelle regioni periferiche, ha buone basi nella realtà della lingua ed è dunque ampiamente accetata ed utilizzata.
La definizione dei confini, specie tra varietà gallo-italiche, è ancora in fase di studio: sono oggetto di discussione soprattutto i confini con l'emiliano, con Mantova e Piacenza che parlano dialetti considerati talvolta emiliani e talvolta lombardi sui generis.
No, la lingua lombarda è chiaramente una lingua romanza, ossia derivata dal latino volgare parlato nelle aree lombardofone. Contiene tuttalpiù alcune parole di origine celtica (esempi: braghe, brugh) o germanica (es: spranga, ranf), ma strutturalmente è di derivazione latina. Non è indice di celticità o germanicità la presenza delle vocali /ø/ e /y/ (dette tradizionalmente, ma imprecisamente, vocali turbate): esse hanno seguito con tutta probabilità lo stesso processo evolutivo che hanno avuto nella lingua francese.
Nessuna lingua naturale è priva di varietà geografiche. Nel caso tipico europeo la "lingua" viene creata in un ambiente culturale e poi, tramite le istituzioni e l'istruzione, diffusa nella popolazione, dove ha visto la nascita di varietà date dall'uso naturale e tutto il resto era considerato dialetto: lo studio della linguistica al di fuori dell'Europa e l'uso di metodi più ripetibili fondati sulla statistica ha portato al superamento di questa visione, dando piena dignità di lingua anche ai cluster linguistici composti da dialetti simili sviluppatisi autonomamente.
Per quanto popolarmente sia diffusa l'idea che i dialetti lombardi siano molto differenti questa visione non è confermata dai dati: nello studio Revisiting the classification of Gallo-Italic: a dialectometric approach Marco Tamburelli e Lissander Brasca hanno confermato che, dialettometricamente, la distanza tra Milano e Bergamo è paragonabile a quella di varietà incontestabilmente alla stessa lingua: inoltre, hanno anche dimostrato l'appartenenza delle varietà gallo-italiche al gruppo delle lingue romanze occidentali, rendendo insostenibile la loro classificazione come dialetti italiani.
Con un articolo a firma Paolo d'Achille del 10 ottobre 2016 l'Accademia della Crusca ha sostenuto che non si possa parlare di lingua lombarda, poiché non vi è una koiné, ossia una varietà accettata da tutti i parlanti, e non esiste un unico dialetto lombardo: l'accademico riconosce come unica possibile accezione di "lingua lombarda" l'insieme dei dialetti lombardi.
Questa è proprio la definizione di lingua: koiné, standard o letteratura comune, per quanto piacevoli e utili, non sono necessari a definire una lingua. È sufficiente avere un cluster dialettale sufficientemente coeso, quale quello lombardo.
"La seconda questione verte sul tema, in Italia particolarmente avvertito, della distinzione tra lingue minoritarie e dialetti. Da quando, sulla base del dettato costituzionale, è entrata in vigore la legge n. 482 del 15 dicembre 1999 [...], che ha censito le lingue delle minoranze storiche (e al tempo stesso proclamato l’italiano come lingua ufficiale della Repubblica italiana, indicazione che manca tuttora dalla Costituzione), anche molti dialetti hanno reclamato di essere riconosciuti come lingue minoritarie, tanto che alcune leggi regionali hanno sancito (o hanno provato a sancire) questo principio: in effetti, si sente parlare spesso di “lingua napoletana”, di “lingua piemontese”, di “lingua lombarda”, ecc., indicazioni che spesso fanno riferimento non a un dialetto locale ma a quella che è stata chiamata koinè regionale, che è certamente presente in certe zone (come il Veneto, in cui il dialetto veneziano funge da dialetto di koinè), ma non in altre. [...]
Ora, è indubbio che i dialetti vadano a tutti gli effetti considerati lingue sul piano strutturale (storicamente le lingue non sono altro che dialetti che si sono standardizzati e sono diventati, non sempre pacificamente, lingue comuni di interi Stati), ma è altrettanto innegabile che nella situazione italiana il rapporto tra i dialetti locali (spesso diversissimi tra loro e con variazioni anche all’interno delle stesse aree linguistiche a cui appartengono) e la lingua nazionale non è di bilinguismo, ma di diglossia, cioè con una differenziazione e una specializzazione di usi in rapporto alla situazione comunicativa e ad altre variabili. I dialetti, alcuni dei quali hanno mostrato una sorprendente vitalità, vanno certamente tutelati e preservati al pari delle lingue minoritarie"
Paolo d'Achille
Il noto italianista identifica correttamente come il concetto di lingua regionale non sia necessariamente legato ad un dialetto di koiné, ossia uno riconosciuto da tutti i parlanti come "dialetto guida", ma esprime successivamente preoccupazione per una possibile riduzione del ruolo dell'italiano data da un possibile riconoscimento ufficiale: per fortuna, nelle altre realtà europee che hanno visto un riconoscimento della lingua locale non si è vista questa marginalizzazione.
La linguistica italiana, almeno dai tempi di Bernardino Biondelli: se si parla di "dialetti lombardi" e non di "lingua lombarda" è per le ragioni viste nelle due precedenti risposte. Nessun testo di linguistica serio negherebbe la sostanziale unità del gruppo lombardo.
Sulla base dei dati raccolti dai dialettologi italiani entità come l'ISO e l'UNESCO, non legate ad una definizione antiquata e pregiudizievole di lingua, hanno classificato anch'essi la lingua lombarda con il codice lmo.
Non esiste, ad oggi, una grafia lombarda universalmente riconosciuta e accettata da tutti i parlanti. Ci sono alcune proposte di ortografia comune per tutto il sistema linguistico come la Noeuva Ortografia Lombarda o la Scriver Lombard: per la quasi totalità della sua storia sono state utilizzate ortografie locali, non pensate per tutto il sistema linguistico. Tra il 1500 circa e metà 1800 erano prevalenti le cosiddette ortografie classiche, definibili di compromesso tra il dominio italoromanzo e quello galloromanzo, dal periodo risorgimentale in poi queste grafie sono scomparse, eccentuando quella milanese, sostituite da grafice fonetiche, costituite sull'alfabeto italiano a cui sono aggiunte lettere per esprimiere i particolari foni della lingua lombarda.
Seppur non riconosciuta dallo Stato italiano, la lingua lombarda ha tutte le caratteristiche previste dalla Carta Europea delle Lingue Regionali o Minoritarie per essere considerata lingua regionale o minoritaria: tuttavia, nonostante gli inviti del Parlamento europeo, come la relazione Alfonsi, lo Stato italiano non ha ancora ratificato detta Carta e ha un proprio regime di tutela, che riconosce in modo arbitrario alcune lingue come degne di tutela e altre nemmeno come lingue.
No. La tutela della lingua non richiede che le varietà locali parlate dalla popolazione vengano sostituite da una nuova varietà accettata da tutti. È possibile che alcune delle misure utili a salvare la lingua portino ad una riduzione delle differenze tra dialetti, tuttavia bisogna considerare che l'alternativa è la loro morte e sostituzione con l'italiano e che i piccoli cambiamenti che possono derivare da una standardizzazione o da un uso più diffuso non vanno a snatutare le varietà.